Il nostro ordinamento conosce diverse forme di controllo dei patrimoni e di ablazione: tra esse, oltre alle ipotesi di confisca disposte all’esito di un procedimento penale, devono includersi le misure di prevenzione patrimoniali, strumenti mediante i quali, per l’appunto nell’ambito del (sotto-)sistema della prevenzione, lo Stato può intervenire per neutralizzare la pericolosità non soltanto di alcuni soggetti – rientranti nel novero delle persone socialmente pericolose – bensì di alcune res, la cui pericolosità è comunque legata a tali soggetti. D’altra parte, nessuno può dubitare della necessità di sottrarre al circuito economico illegale, alla criminalità da profitto (mafiosa e non), i beni – ivi comprese le realtà produttive – frutto di illecita accumulazione o che traggono vantaggio dall’utilizzo del know-how criminale (ancora una volta, mafioso e non solo). È ormai evidente che le misure patrimoniali (disposte sia in seno al processo penale che nel procedimento di prevenzione) rivestono una centralità sempre maggiore tra i mezzi da impiegare per il contrasto alle forme più svariate di criminalità, non solo allorquando l'agire contra legem sia riconducibile alle organizzazioni criminali, ma anche allorché l’agire illecito o le condotte antisociali pregiudichino gli interessi economici pubblici (compresi quelli dell'Unione Europea). Potremmo dire che è un segno dei tempi che il contrasto alla criminalità si svolga oggi (e debba svolgersi) tramite le misure patrimoniali: sinteticamente, l’attenzione del legislatore e degli operatori è passata dalla persona al patrimonio poiché oggi è più che mai assodata l’insufficienza delle sanzioni in pregiudizio della persona pure negli ambiti in cui svolgono una funzione indefettibile – quali la punizione delle più gravi condotte criminali che assumono rilevanza anche in materia di misure di prevenzione –, sanzioni cui devono affiancarsi strumenti giuridici che attingano i patrimoni illeciti.
Misure di prevenzione
Le principali misure di prevenzione che l’autorità giudiziaria può applicare ossia:
- quanto alle misure personali, la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (per una durata compresa tra uno e cinque anni), cui può aggiungersi l’obbligo e, nei casi consentiti, il divieto di soggiorno (cfr. artt. 6 e 8 D. Lgs. 159/2011);
- quanto alle misure patrimoniali, la confisca (di norma, preceduta dal sequestro finalizzato alla sua applicazione; cfr. artt. 20, 24 e 25 D. Lgs. 159/20117), l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende,
il controllo giudiziario delle aziende (rispettivamente ex artt. 34 e 34-bis D. Lgs. 159/2011).
La confisca e il sistema probatorio
Allorché si debba provvedere su una proposta di confisca ex art. 24 D. Lgs. 159/2011 (e, di regola, ancor prima su una richiesta, ai sensi dell’art. 20 dello stesso decreto, di sequestro finalizzato alla stessa ablazione), i profili oggetto di vaglio probatorio (o indiziario) sono:
- la disponibilità, diretta o indiretta, dei beni in discorso in capo alla persona di
cui si assume la pericolosità sociale;
- l’illegittima provenienza di tali res.
La normativa vigente giustifica l’applicazione di uno standard probatorio (o indiziario) diverso a seconda che debba ordinarsi il sequestro o la confisca. Si evidenzia come sia l’art. 20 cit. (che pone i presupposti del sequestro) sia l’art. 24 cit. (che indica quelli della confisca), a proposito della provenienza illegittima dei cespiti oggetto di misura reale, elenchino non solo il caso in cui gli stessi debbano ritenersi il “frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” ma anche – come ipotesi alternativa e autonoma – il caso in cui il loro valore risulti “sproporzionato al reddito dichiarato” o “all’attività economica svolta”.
L’amministrazione giudiziaria
Per disporre l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende il tribunale deve verificare che:
- sussistano sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416-bis c.p. o possa comunque agevolare l’attività di persone nei
confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale previste dagli artt. 6 e 24 D. Lgs. 159/2011, ovvero di persone
sottoposte a procedimento penale per taluni reati25;
- e che non ricorrano i presupposti per l’applicazione del sequestro e della confisca di prevenzione (art. 34, comma 1, D. Lgs. 159 cit.).
Secondo la SC ( Cass., II, 6 giugno 2019, n. 31549, Simply Soc. Coop.) “l'analisi testuale del primo comma dell'art. 24 del d.Lgs. 159/2011 tiene ben distinte le due situazioni nelle quali può procedersi alla confisca:
- a) quella nella quale "risulti" che il soggetto interessato (anche per interposta persona) sia titolare od abbia la disponibilità a qualsiasi titolo di beni in valore sproporzionato al proprio reddito od alla propria attività economica;
- b) quella nella quale "risulti" che i beni de quibus siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
Ciò significa, innanzitutto, che non è necessario che i beni oggetto del provvedimento appartengano simultaneamente ad entrambe le citate categorie bastando la loro riconducibilità anche ad una sola di esse: la congiunzione "nonché" preceduta da una virgola ha infatti nel testo della norma la sola funzione di elencare le situazioni nelle quali può procedersi a confisca (distinguendo i beni dal primo tipo da quelli del secondo tipo) e non consente di ritenere che sia necessaria la contestuale ricorrenza delle due ipotesi”.
Nel procedimento di prevenzione non esiste un fascicolo del pubblico ministero processualmente distinto – una volta esercitata l’azione di prevenzione – dal fascicolo del tribunale. Sono, quindi, utilizzabili per la decisione anche gli elementi di prova non formati nel contraddittorio, compresi ovviamente quelli acquisiti tramite le indagini difensive.
La consulenza tecnica di parte. Provenienza dei beni
Nella prassi, difatti, alla proposta si accompagnano anche elementi diversi dalle prove dibattimentali e i difensori, negli anni, sempre più spesso hanno prodotto e producono – sia al fine del provvedimento definitorio sia per ottenere la revoca del sequestro – l’esito delle investigazioni da loro svolte. Gli elementi in discorso, di frequente, si sono formati nei procedimenti penali già instaurati nei confronti dei proposti, ma non necessariamente nel contraddittorio. In altri termini, non è raro che il giudice della prevenzione utilizzi per la decisione atti che, nel procedimento penale nel quale sono stati acquisiti o compiuti, sono inclusi nel fascicolo del pubblico ministero.
Tanto chiarito assume particolare rilevanza l’apporto del consulente tecnico di parte che può dimostrare il regolare svolgimento delle attività di impresa ovvero la provenienza lecita degli altri beni oggetto di ablazione.
Oggetto delle indagini peritali può essere individuato nel tenore di vita, nelle disponibilità finanziarie e nel patrimonio di costoro e nell'attività economica facente capo agli stessi soggetti, allo scopo anche di individuare le fonti di reddito, oltre che nella verifica sulla titolarità di licenze, autorizzazioni, concessioni o abilitazioni all'esercizio di attività imprenditoriali e commerciali, comprese le iscrizioni ad albi professionali e pubblici registri, e la concessione o l’erogazione, da parte dello Stato, degli enti pubblici o dell'Unione Europea, di contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate.
L’attività del consulente di parte è volta a contrastare il potere dell’ufficio giudicante, dalla chiara connotazione inquisitoria, rimasto nel codice antimafia anche dopo che la novella del 2017 ne ha modificato l’art. 20, comma 2, prevedendo che il tribunale – investito di una proposta di sequestro finalizzato alla confisca – prima di fissare l’udienza, restituisca gli atti all’organo proponente quando ritiene che le indagini non siano complete ed indichi gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del sequestro o delle misure di cui agli articoli 34 e 34-bis.
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, puntualizzato:
- che “ l’onere di allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non può essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza di una provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo invece il soggetto sottoposto al procedimento di prevenzione indicare gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attività illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non sproporzionati rispetto alla sua capacità reddituale” ( Cass., VI, 9 giugno 2015, n. 31751; conf. pure Cass., n. 30974/2018 );
- e che “sostenere che il denaro provenga dall'elargizione di un terzo senza spiegarne le ragioni equivale a (tentare di) aggirare l'onere di allegazione, dovendo il soggetto fornire una spiegazione credibile in ordine ai mezzi e alle circostanze che gli hanno consentito un determinato incremento patrimoniale. Fornire una spiegazione priva di riferimenti concreti equivale, dunque, ad una «allegazione apparente»” (Cass.n. 30974/2018, che richiama Cass. V, 7 marzo 2014 n. 20743 e Cass. VI, 9 giugno 2015 n. 31751).
Va, poi, rilevato che in giurisprudenza si è individuato un livello probatorio – anzi indiziario – diverso, inferiore rispetto a quello prescritto per la confisca, quale presupposto per ordinare un sequestro di prevenzione. Sul punto si rimarca la diversità dei termini utilizzati dal legislatore che:
- ha previsto il sequestro dei beni dei quali il proposto risulti poter disporre, direttamente o indirettamente (oltre che quando il loro valore risulti sproporzionato al
reddito dichiarato o all’attività economica svolta), quando, “sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere” che essi siano di derivazione illecita o ne costituiscano il
reimpiego (art. 20, comma 1);
- mentre per la confisca (sempre oltre al caso del valore sproporzionato rispetto al reddito o all’attività economica) ha richiesto che i beni “risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” (art. 24, comma 1).
Accertamento dei presupposti della confisca e ruolo del perito
E’ evidente che occorra contemperare l’esigenza di comprimere per il minor tempo necessario la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e la proprietà (art. 42 Cost.) per il tramite di un sequestro di prevenzione con la necessità di svolgere un compiuto accertamento sulla ricorrenza dei presupposti di applicazione della confisca. Tale necessità, peraltro, spesso non collima affatto con le esigenze difensive del proposto e degli intervenienti, poiché non è infrequente la richiesta da parte di costoro di un differimento della decisione del procedimento perché impegnati nell’attività di ricostruzione patrimoniale e, soprattutto, nella raccolta degli elementi a tal fine necessari, non sempre di facile reperimento perché relativi a fatti o atti risalenti.
In tali ipotesi, soprattutto in presenza di patrimoni ingenti formatisi nell’arco di molti anni, se non di decenni, e di imprese operanti da lunghissimo tempo sul mercato, possono rivelarsi insufficienti novanta giorni per l’espletamento della perizia, indicati dall’art. 24, comma 2, D. Lgs. 159/2011 (nel testo oggi vigente) come durata massima della sospensione del termine di efficacia del sequestro in tale ipotesi. Tantopiù che nulla impedisce alle parti, pur dopo gli accertamenti peritali e il decorso del periodo di sospensione del termine durante le operazioni degli ausiliari, di offrire ulteriori elementi che impongono un approfondimento o un’integrazione dell’attività del perito.
Deve sottolinearsi nuovamente che il tema non è di secondaria importanza allorquando la proposta ablativa ha ad oggetto patrimoni ingenti.
Di tal guisa, peraltro, può ipotizzarsi che si limiterebbero anche le ipotesi in cui si renda necessario il rimedio straordinario della revocazione della confisca, previsto – per quel che qui rileva – “in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento” (art. 28, comma 1, lett. a), D. Lgs. 159/2011).
Consulente di parte e assistenza nei rapporti con l’amministrazione giudiziaria
Il ruolo del consulente di parte nei procedimenti penali che implicano la presenza dell’amministratore giudiziario esplica la sua valenza in positivo per contribuire al mantenimento della redditività dei beni oggetto di sequestro.
Il comma 5 dell’art.35 del Dlgs 159/11 prevede che l'amministratore giudiziario deve adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Egli ha il compito di provvedere alla gestione, alla custodia e alla conservazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione, sotto la direzione del giudice delegato, al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi.
L’ausilio di un consulente di parte con esperienza in tale ambito potrà contribuire al mantenimento e all’incremento – ove possibile – della redditività dei beni e delle aziende, nel pieno rispetto dei ruoli e delle prerogative della gestione giudiziaria degli stessi. Senza contrapposizioni, al solo fine di mantenere in efficienza beni che, talvolta, subiscono pesanti contraccolpi dal cambio di governance.