Il D.lgs. n.231/2001 ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di responsabilità per illeciti amministrativi dipendenti da reato ascrivibili all’Ente quale conseguenza di reati commessi nell’interesse od a vantaggio del medesimo, ad opera di soggetti che rivestono una posizione apicale nella struttura societaria, ovvero da persone sottoposte all’altrui direzione o vigilanza. Le norme sulla responsabilità amministrativa degli enti nel tempo hanno subito modifiche ad opera di plurimi interventi legislativi volti ad ampliare il novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti. Le misure sanzionatorie più stringenti sono quelle che prevedono il sequestro e la confisca del prezzo o del profitto del reato.
Ai sensi dell’art. 5 comma 1 del Decreto 231, presupposto di punibilità dell’ente è che il reato sia stato commesso nell’“interesse” o a “vantaggio” dell’ente. La responsabilità dell’ente sorge solo qualora il soggetto (apicale o subordinato) abbia commesso il reato agendo con l’intento di perseguire l’interesse della società, oppure qualora quest’ultima ne abbia comunque goduto un vantaggio. Il profilo dell’interesse è da valutarsi ex ante (cioè prima della commissione del reato) e copre tutte le condotte finalizzate a far ottenere all’ente un beneficio, a prescindere dagli esiti della condotta delittuosa del soggetto agente. L’esempio classico è quello dell’amministratore che corrompe un pubblico funzionario per far conseguire alla società dallo stesso amministrata delle commesse pubbliche. Il requisito vantaggio è invece da valutarsi (cioè dopo la commissione del reato) e copre le condotte che, sebbene determinate da motivazioni personali dell’autore (persona fisica) comportano comunque un beneficio all’ente, inteso come profitto (ovvero come guadagno economico: si faccia il caso dell’amministratore che falsifica il bilancio della società sottostimando le poste attive e simulando difficoltà finanziarie, allo scopo di far ottenere all’ente vantaggiose dilazioni nei pagamenti da parte dei creditori) o come prodotto del reato (ovvero come bene materiale che si origina dal reato: ad esempio, nella corruzione per atto d’ufficio, l’atto che è stato compiuto dal pubblico ufficiale e per il quale ha ricevuto il denaro).
L’ art. 19 del D.lgs. 231/2001 prevede, quale sanzione patrimoniale, che nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato. L’art. 53 del D.lgs. 231/2001 stabilisce che il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell’articolo 19. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 321, commi 3, 3-bis e 3-ter, 322, 322-bis e 323 del codice di procedura penale, in quanto applicabili. Ove il sequestro, eseguito ai fini della confisca per equivalente prevista dal comma 2 dell’articolo 19, abbia ad oggetto società, aziende ovvero beni, ivi compresi i titoli, nonché quote azionarie o liquidità anche se in deposito, il custode amministratore giudiziario ne consente l’utilizzo e la gestione agli organi societari esclusivamente al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, esercitando i poteri di vigilanza e riferendone all’autorità giudiziaria. In caso di violazione della predetta finalità l’autorità giudiziaria adotta i provvedimenti conseguenti e può nominare un amministratore nell’esercizio dei poteri di azionista. Con la nomina si intendono eseguiti gli adempimenti di cui all’articolo 104 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. In caso di sequestro in danno di società che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale e di loro controllate, si applicano le disposizioni di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89.
Ruolo del consulente tecnico di parte
Con l’ausilio del consulente di parte si può dimostrare la concreta attuazione e l’efficacia del Modello Organizzativo adottato per prevenire la commissione del fatto di reato, con particolare attenzione all’analisi del rischio, all’adozione di efficaci protocolli ed al sistema disciplinare, presupposti indispensabili a renderlo effettivo e processualmente opponibile alla tesi accusatoria della Procura. Il tutto al fine di escludere, ove possibile, sia la responsabilità dell’Ente, sia quella dei soggetti apicali tratti a giudizio nell’ipotesi di processo penale ordinario per la violazione degli obblighi di vigilanza loro ascritti.