27/08/2024
Con la sentenza 32282/24 dell’8 agosto, la Corte di Cassazione (terza sezione penale) ha ordinato il dissequestro di circa tre milioni di euro precedentemente appresi come confisca per equivalente, a seguito del reato di omessa dichiarazione avvenuto nel biennio 2015-2016. L’intervento, frutto di una decisione assunta lo scorso 20 giugno, anticipa l’entrata in vigore del d.lgs. 87/2024 (29 giugno) che ha in parte rivisto il sistema sanzionatorio tributario e nello specifico l’art.12 bis d.lgs. 74/2000 il quale vede sostituito il secondo comma col seguente: “Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti”. L’accertamento con adesione è un accordo stipulato tra contribuente e Agenzia delle Entrate, permette di definire l’ammontare delle imposte dovute ed evitare la manifestazione di liti tributarie, garantendo quando possibile una riduzione delle sanzioni, anche quando l’Ufficio abbia intenzione di irrogarle nella massima misura. Possono, inoltre, essere ridotte fino alla metà (un terzo prima della riforma) le pene a carico per reati tributari e non sono previste sanzioni accessorie se il contribuente provveda all’estinzione dei debiti tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. In conclusione, posto che la ragione della confisca risiede nel recupero del debito tributario, una volta integralmente adempiuto quest'ultimo, come nel caso in questione, viene meno la funzione della misura ablativa disposta a carico del contribuente. In altri termini, stante l'assenza di profitto, in conseguenza della procedura di accertamento con adesione seguita dall'integrale versamento del debito tributario in relazione ad entrambe le annualità in contestazione, non vi è più spazio per il provvedimento ablatorio precedentemente disposto.
14/05/2024
Nel giugno del 2022 il GIP del tribunale di Milano ha emesso una sentenza che condannava in primo grado la persona fisica e la s.r.l unipersonale in presunzione del reato ai sensi dell’art. 258, comma 4 d.lgs. 152/2006 (Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all'articolo 193 o senza i documenti sostitutivi ivi previsti, ovvero riporta nel formulario stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a diecimila euro. Si applica la pena dell'articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. Tale ultima pena si applica anche a chi nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto) nel merito di formulari di identificazione dei rifiuti, riconosciuti come falsi, che ne attestavano lo smaltimento.
È recente, invece, la sentenza della Corte d’Appello di Milano attraverso la quale si è pronunciata nel merito della vicenda e della responsabilità da reato dell’ente. Quest’ultima risulta interessante in materia di 231 per i diversi punti che la Corte ha esaminato nel formulare la sentenza: la rilevanza penale dei formulari, il principio di legalità in materia di responsabilità da reato degli enti previsto dal d.lgs. 231/2001, la disciplina sulla successione di leggi nel tempo e la relativa abolitio dell’illecito contestato all’ente, l’assenza della colpa di organizzazione quale elemento costitutivo del 231.
La Corte di Appello ha quindi sentenziato l’esclusione della responsabilità da reato dell’ente, avendo ritenuto impossibile attribuire allo stesso la predisposizione dei formulari falsi, al netto del principio di legalità dettato dall’art. 2 d.lgs. 231/2001.
30/04/2024
Formata nell’ottobre del 2021, la Commissione ministeriale presieduta da Renato Bricchetti ha recentemente concluso i lavori circa la stesura del testo normativo. Gli interventi erano stati avviati con lo scopo di riformare una parte dei reati fallimentari con l’articolato del 2022, in attuazione delle discipline previste dalla direttiva Insolvency. La recente ricostituzione della commissione fonda le sue radici nella necessità della definizione di una proposta legislativa definitiva, sulla base dell’<<esigenza di svolgere un esame approfondito dell’articolato redatto dalla citata Commissione, al fine di mettere a punto ogni opportuno intervento di integrazione e coordinamento normativo>>. Il provvedimento di riforma si compone di quattro macro articoli, affrontando quelle che – nel corso degli anni – sono state le difficoltà emerse nell’applicazione della legge sui reati fallimentari. Il nuovo testo incide in maniera importante su elementi quali, ad esempio, la bancarotta fraudolenta (mantenendo la pena massima di quindici anni, dieci anni nella forma base e ulteriori cinque se il danno causato risulti essere particolarmente grave) o su qualsiasi attività di dissimulazione, distruzione o dissipazione del patrimonio, ribadendo come questi reati – per essere considerati tali – debbano palesare dei tratti di concreta pericolosità. Nella definizione delle attività identificabili come reati è centrale la figura del dolo, attraverso il quale si rende possibile la persecuzione dei soggetti che hanno contribuito in maniera manifesta al dissesto della società. Tra le novità più importanti che la riforma Bricchetti decide di introdurre riguarda alle cause di non punibilità e alle attenuanti. È, infatti, esentato dalla condanna di bancarotta (o, alternativamente, godere di attenuanti) il soggetto che – prima della sentenza di liquidazione – ha riparato il danno o rimosso il pericolo. Ancora, se il danno causato non è particolarmente grave e la condotta non è abituale, è ammessa l’applicazione dell’istituto di non punibilità per tenuità del fatto. Pertanto, è chiaro come il ruolo del consulente sia destinato ad acquisire ancora più rilevanza dinanzi a interventi legislativi spesso importanti e costanti.
SENTENZA CASSAZIONE 19 APRILE 2024 SULLA BANCAROTTA DOCUMENTALE
Con sentenza dello scorso 19 aprile, la Corte di Cassazione torna sul tema dei reati fallimentari. La Suprema Corte fa riferimento a quella che dovrebbe essere l’importanza da attribuire agli atti di disposizione posti in essere in periodi di ordinaria amministrazione dell’impresa, al fine di non arrecare un danno ai creditori. L’intervento della Quinta Sezione Penale, quindi, annulla la sentenza della Corte d’appello di Caltanisetta (la quale è invitata al riesame) limitatamente a quella che è la parte relativa alla bancarotta fraudolenta documentale. Di seguito riportiamo i passaggi che sottolineano la motivazione del provvedimento: “Ciò considerato, ove vi sia uno stretto rapporto cronologico tra l’atto dispositivo che diminuisce la garanzia dei creditori rispetto alla successiva procedura concorsuale, la manifestazione dei presupposti storici di questa (nella forma della crisi di impresa o in quella della insolvenza o del dissesto) rende particolarmente agevole la ricostruzione della fattispecie normativa con riferimento al caso concreto, poiché diviene del tutto evidente la natura non solo pericolosa ma anche concretamente depauperativa dell’azione e la rimproverabilità soggettiva del suo autore che, della determinazione del pericolo, non può protestare un’imputazione a titolo di responsabilità oggettiva (Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Rv. 269019).” e prosegue: “Ciò considerato, in linea generale, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Di Petra, Rv. 284304). Ebbene, da un canto, la Corte territoriale non ha alcun modo motivato in ordine alla pur ritenuta fraudolenza dell’intento, ma ne ha anche prospettato la sussistenza in termini di dolo generico, ipotizzando che la volontarietà dell’omessa tenuta delle scritture contabili fosse elemento sufficiente per dimostrare la “consapevolezza” di rendere impossibile o significativamente difficoltosa la ricostruzione delle vicende societarie.”
Online il nuovo sito web periziepenali.it! Lo Studio Posca, con un'esperienza trentennale, presenta un nuovo sito incentrato su perizie e consulenze tecniche in ambito giudiziario.